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2004Bruno Rosada per “Tra Luce e Realtà” (2004)
Tra luce e realtà – la pittura di Carla Erizzo
Perché si dipinge? La pittura è sempre un atto conoscitivo, un modo di esplorare la realtà, che non può esaurirsi, o che non è detto che si debba esaurire, nella visione della superficie esterna delle cose. E allora Carla Erizzo ha deciso di andare non al di là del quadro, non dietro di esso, come ha fatto per lo più il Novecento, ma al di quà, in quella luce che rende le cose possibili e visibili; ed è una esplorazione che chiama lo spettatore a collaborare alla visione a partecipare alla fattura del quadro con un elemento essenziale, la visione libera e lo stimolo alle associazioni mentali.
Carla Erizzo è figlia d’arte. Non so se questo significhi qualcosa. Non credo molto ai cromosomi e al DNA, credo di più all’ambiente, all’educazione familiare, al talento individuale. Ad ogni modo suo padre era un pittore. Faceva delle cose di sapore espressionista. L’espressionismo è sempre un ottimo punto di partenza. C’è il rispetto per la realtà esterna, e c’è il decisivo intervento del soggetto, dell’artista dico, che a quella realtà si sovrappone, la distorce, la manipola, finchè la materia inerte si rende consapevole dell’esistenza dell’artista, ne riconosce la presenza. Sì: è la materia ad accorgersi dell’uomo. E non viceversa. E Carla Erizzo (una bella laurea in Economia e commercio) alla morte del padre decide di continuarne l’opera; rifiuta le quotazioni di borsa per occuparsi di più, semmai, della quotazione dei propri quadri. E prende le mosse dall’esperienza paterna. All’inizio oscilla tra impressionismo ed espressionismo, che non sono poi sempre così divergenti come vorrebbero le parole. Poi resta affascinata da Rotko. E un po’ alla volta si accorge che le cosa senza luce non sono. Che è la luce che le pone in essere, e nei suoi quadri comincia a dibattersi quella accesa dialettica tra il colore e la luce, che ha stimolato tanti pittori del Novecento, Guidi per esempio. Il risultato cui perviene Carla Erizzo sembra anch’esso un gioco di parole, ma è così: il risultato della dialettica tra luce e colore è la luminosità. I suoi quadri hanno smesso di rappresentare qualcosa, alberi case e colli, l’inganno consueto, diceva Montale, per rappresentare se stessi come lucore, qualcosa di molto simile ai barbagli di montale, appunti, o ai fosfemi di Zanzotto, ma visti e decisi da una che li vuole rappresentare graficamente.
Però i suoi quadri hanno un nome. Una volta Ottavio Paz ha scritto (parlava di Duchamp) che nell’arte moderna assumono sempre più importanza i titoli dei quadri. Io penso che il titolo è l’altra metà del quadro, il significato riposto, nascosto e svelato allo stesso tempo dalla rappresentazione: riflessi, La fessura, regata al tramonto , Vele rosse, posso continuare: sono i titoli di Carla Erizzo. Ma cerchiamolo, questo significato nascosto e svelato; è che prima di tutto , lo si vede proprio dai titoli, per Carla Erizzo le cose esistono, non sono dunque un inganno; anche se non vengono rappresentate, esistono. E così Carla Erizzo va oltre il Novecento che aveva negato che esistessero . Ma non le rappresenta, e il non rappresentarle è una scelta precisa, un metodo di lavoro , che guida a conoscenze ulteriori in uno sforzo continuo di ricerca. Poi c’è la precisa coscienza che il rapporto con le cose è garantito dalla luce, e che il colore è un puro e semplice strumento di realizzazione delle cose.
A questo punto basterebbe eliminare le cose. Tanto non servono a fare un quadro. Ma non si può. Basta non rappresentarle.
Bruno Rosada